Terapie farmacologiche e non per gli atti auto-lesivi nel Disturbo Borderline di Personalità
- Raffaela Camiscia
- 22 ott 2023
- Tempo di lettura: 1 min

La Food and Drug Administration non ha mai approvato nessuno tipo di terapia specifica per la cura degli atti auto-mutilanti, ma sono state proposte diverse terapie psicoterapiche e farmacologiche dagli esperti del settore. Per quanto riguarda la terapia psicologica la terapia dialettica-comportamentale (DBT) è una delle terapie più accreditate proprio perché possiede numerosi supporti empirici, questa è una variazione della terapia cognitiva-comportamentale (Smith D. B., 2005), oltre questa viene considerata anche la regolazione emotiva in terapia di gruppo (Emotion Regulation Group Therapy, ERGT) in cui è stata verificata la remissione di atti mutilanti non suicidari (Nonsuicidal Self- Injury, NNSI) nel 47% dei pazienti che hanno seguito la terapia per più di 9 mesi (Brianna J. T., et al. 2014). Le terapie farmacologiche si basano sui vari studi neurobiologici svolti sull'argomento: l'implicazione del sistema serotoninergico, del sistema dopaminergico e dell'EOS. Sono stati proposti antidepressivi come la fluoxetina
prendendo in considerazione una possibile implicazione del neurotrasmettitore serotonina nell'automutilazione, ma anche antipsicotici atipici e stabilizzatori dell'umore. Questi farmaci hanno avuto successo in alcuni studi ma comunque sono cure farmacologiche che agiscono su altri meccanismi, quali per esempio la depressione, diversi da quelli sottostanti la vera e propria automutilazione, ed è per questo che in questo capitolo verrà approfondito l'uso del naltrexone
come farmaco mirato per i NSSI. Il rischio maggiore è proprio nel fatto che tra il 55% e l'85% delle persone che hanno avuto una storia di NSSI hanno avuto anche comportamenti suicidari e questo aumenta il rischio di morte. Alcuni studi sottolineano anche quanto sia importante distinguere fra gesti suicidari veri e propri e NSSI (Brianna J. T., et al. 2014).



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